Descrizione
Jad Izzat, voce tra le più autorevoli del panorama letterario del mondo arabo e palestinese, riprende il filone dell’haiku arabo, inaugurato dal poeta palestinese Izz al-Din al-Manasirah, e compone i suoi versi con uno stile essenziale, apparentemente semplice, dove esperienze personali e collettive diventano patrimonio comune del lettore e dell’autore.
La forza della natura e la sua bellezza si mescolano al dolore personale, al senso di morte di una terra martoriata, dando vita a una poesia piena di speranza, che si nutre di desiderio di pace e di amore per la vita. L’autore sembra affermare che non può essere univoca, personale, solitaria l’esperienza del dolore: se io soffro come individuo, se noi periamo come comunità, deve esserci altrove traccia di questa sofferenza. In un certo senso, il verso va a caccia di una condivisione di quel dolore. Così grida la carne di donna, grida l’anima di uomo, stridono accartocciate le ali della farfalla e perfino le eliche metalliche, oggetti inermi e inanimati, che votano la propria perfezione tecnica a un’inevitabile mattanza. I testi di Izzat sono un faro che accende lampi nella notte, luce puntata da un’anima esuberante verso un territorio circostante esploso e martoriato.