Descrizione
Laura è una donna di quarant’anni, ha due figli piccoli e un marito lontano, una casa da gestire e tutto il tempo che le serve, forse anche più del tempo che le serve, dato che da due anni non lavora, non lavora affatto.
In teoria, si è sempre impiegata in campo “creativo”, senza orari, a progetto, ma i progetti da un po’ non entrano, non si concre- tizza niente e, pur non essendo spinta da una stringente necessità economica, Laura non sa più come passare le proprie giornate, perché ha ragione Adriano Olivetti: “Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti tormento, tormento di non averlo”, e Laura comincia a percepirlo sulla pelle, sotto gli occhi, nelle giunture.
Cerca di riorganizzare la propria vita senza paletti, in un tempo esteso e non scandito dal lavoro, fa sport, legge, dorme, dorme molto, cammina, attraversa Roma a piedi cercando di sfinirsi, di sfiancarsi per non pensare, per non passare tutto il tempo a capire quale identità le sia rimasta in una società che definisce l’individuo e gli dà cittadinanza solo attraverso il lavoro.
Che cosa rimane a un essere umano quando il lavoro scompare?
In che modo il lavoro definisce noi stessi e la nostra visione della vita, anche quando non C’è e tutti sembrano farcene una colpa?
Un diario semiserio e quasi drammatico, una voce cristallina e disincantata che snuda un presente nevrastenico e rende più umano l’essere umano.